Il Candelaio venne scritto da Giordano Brunodurante il suo soggiorno a Parigi, nell’estate del 1582. Esso si presenta come l’unica commedia scritta dal Bruno. Infatti, Giordano Bruno era dedito a scrivere trattati filosofici o dialoghi ed era impensabile che scrivesse una commedia. La commedia fu giudicata nel settecento “scellerata e infame”, e dal Carducci “volgarmente sconcia e noiosa”. Punti di vista, senza dubbio, e giudizi alquanto affrettati, e, forse, un po’ troppo severi. Comunque, oggi, dopo aver riletto la commedia, con altra intelligenza e ben più maturo fervore, la troviamo sfiziosa, divertente, briosa anche se non di lettura scorrevolissima, e perdoniamo a Bruno quel linguaggio osceno talvolta usato. Era rude e aspro realismo. Non poteva essere diversamente per quelle persone volgari e immorali, quali son quelle che operano nella commedia, che dovevano di necessità far uso di volgari e immorali espressioni che interamente si adattassero alla loro istruzione, alla loro intelligenza, alla loro coscienza. Bruno inizia l’opera con una dedica ad una certa Morgana e già questo risulta un mistero.
TRAMA: Siamo nella Napoli cinquecentesca. Il Candelaio è un certo Messer Bonifacio, che, nonostante sia sposato con Carubina, spasima per la signora Vittoria. Messer Bonifacio, insieme a Manfurio, un pedante goffo e credulone, e a Bartolomeo, un dilettante alchimista, sono tutte e tre facile preda di un gruppetto di imbroglioni di vario calibro ( tra i quali Vittoria, che vorrebbe approfittare della passione di Bonifacio per spillargli un po’ di quattrini). Bonifacio si affida al mago Scaramurè, affinchè con un incantesimo lo faccia amare da Vittoria: ma al desiderato convegno troverà l’indignata Carubina, che, fino ad allora virtuosa, si lascerà convincere dall’innamorato Gioan Bernardo che non è grave metter le corna a siffatti mariti. Quanto a Manfurio e a Bartolomeo, vengono sbeffeggiati, derubati e più volte bastonati.
"Ed io a chi dedicarrò il mio Candelaio? a chi, o grandestino, ti piace ch'io intitoli il mio bel paranimfo, il mio bon corifeo? a chi inviarrò quel che dal sirio influsso celeste, in questi piú cuocenti giorni, ed ore piú lambiccanti che dicon caniculari, mi han fatto piovere nel cervello le stelle fisse, le vaghe lucciole del firmamento mi han crivellato sopra, il decano de' dudici segni m'ha balestrato in capo, e ne l'orecchie interne m'han soffiato i sette lumi erranti? A chi s'è voltato, – dico io, – a chi riguarda, a chi prende la mira? A Sua Santità? no. A Sua Maestà Cesarea? no. A Sua Serenità? no. A Sua Altezza, Signoria illustrissima e reverendissima? non, no. Per mia fé, non è prencipe o cardinale, re, imperatore o papa che mi levarrà questa candela di mano, in questo sollennissimo offertorio. A voi tocca, a voi si dona; e voi o l'attaccarrete al vostro cabinetto o la ficcarrete al vostro candeliero, in superlativo dotta, saggia, bella e generosa mia s[ignora] Morgana: voi, coltivatrice del campo dell'animo mio, che, dopo aver attrite le glebe della sua durezza e assottigliatogli il stile, – acciò che la polverosa nebbia sullevata dal vento della leggerezza non offendesse gli occhi di questo e quello, – con acqua divina, che dal fonte del vostro spirto deriva, m'abbeveraste l'intelletto. Però, a tempo che ne posseamo toccar la mano, per la prima vi indrizzai Gli pensier gai; apresso: Il tronco d'acqua viva. Adesso che, tra voi che godete al seno d'Abraamo, e me che, senza aspettar quel tuo soccorso che solea rifrigerarmi la lingua, desperatamente ardo e sfavillo, intermezza un gran caos, pur troppo invidioso del mio bene, per farvi vedere che non può far quel medesmo caos, che il mio amore, con qualche proprio ostaggio e material presente, non passe al suo marcio dispetto, eccovi la candela che vi vien porgiuta per questo Candelaio che da me si parte, la qual in questo paese, ove mi trovo, potrà chiarir alquanto certe Ombre dell'idee, le quali in vero spaventano le bestie e, come fussero diavoli danteschi, fan rimaner gli asini lungi a dietro; ed in cotesta patria, ove voi siete, potrà far contemplar l'animo mio a molti, e fargli vedere che non è al tutto smesso."Nel Candelaio è evidente ed a tratti molto pesante, la polemica che Bruno fa alla religione, criticandola nel suo senso di “religio”. In un monologo di Marta si piegano in direzione comico-burlesca stralci dal “Breviario” o dalla liturgia eucaristica (si veda come esempio lo stralcio qui riportato) Ieri feci dir la messa di Sant’Elia contra la siccità; questa mattina Ho speso cinque altre grana de limosina per far celebrare quella Di San Gioachino et Anna, la quale è miracolosissima ad riunir Il marito co la moglie. Si non è difetto di devozione dal canto del Prete, io spero di ricevere la grazia; benché ne veggo mala Vegilia: chè in loco di lasciar la fornace e venirme in camera, oggi è uscito più del dover di casa, che mi bisogna a questa ora di andarlo cercando. (Cand. IV, 9, pag. 251)
La pratica di recitare e richiamare ogni sorta di preghiera anche per scopi che di religioso hanno ben poco!!! Molti ancora sono i richiami al mondo infernale ed al culto della Vergine come accade nella celebre litania di Marta:
Iesus, santa Maria di Piedigrotta, Vergine Maria del rosario, nostra Donna di Monte, santa Maria Appareta, advocata nostra di Scafata! Alleluia, alleluia ogni male fuia! Per san Cosmo e Giuliano, ogni male fia lontano! Male male, sfiglia sfiglia, va’ lontano mille miglia! (Cand. IV,8,pag.253)
Nella commedia compaiono alcuni accenni, seppure indiretti, all’impostura dei miracoli. Esplicitamente si pronuncia la ruffiana Lucia per irretire lo sciocco Bonifacio ed assicurare alla beffa il successo. Per giustificare il repentino mutamento nell’atteggiamento di Vittoria, la cortigiana amata dal “candelaio”, Lucia dice:
Voi sapete che dove troppo cresce il desio, suol altretanto indebolirsi la speranza; e forse ancora la gran novità e mutazione che vede in sé medesima, gli fa per il simile suspettar mutazioni dal canto vostro. Chi vede un miracolo, facilmente ne crede un altro. (Cand. IV,6, pag. 235)
Nel Candelaio Bruno fa aperto riferimento anche alla ridicolizzazione degli dei ponendoli in uno stato, teatralmente parlando, di parodia. Si limita a tratteggiare l’indifferenza degli dei stessi alle azioni umane, ancora una volta attraverso la voce di Gioan Bernardo:
Carabina: Sii che si vogli de gli omini, che dirrete in cospetto de gli angeli e de’ santi, che vedeno il tutto, e ne giudicano? Gioan Bernardo: Questi non vogliono esser veduti più di quel che si fan temere; non vogliono esser conosciuti più di quel che si fan conoscere. (Cand. V,11, pag. 323)
Insomma gli dei sono indifferenti, relegati in una sfera che allo stesso tempo è limite dell’uomo e della libertà intrinseca al limite stesso. Tale indifferenza sarà approfondita nello “Spaccio”.
Legato, malmenato, offeso, Bonifacio implora pietà a chiunque incontri sulla strada e feroce è il commento di Barra: “Tutto il mondo è re e papa apresso farà un casocavallo a tutti.” Il tono è tagliente, Bruno disprezza la profusione di implorazione e richieste di perdono, di misericordia e grazia. È una esplicita condanna della boria e della presunzione di chi non ha mai dubitato di poter volgere a proprio favore il corso della fortuna e la dimostrazione pratica che solo l’individuo eccellente sa come operare per ripristinare l’ordine nel caos. Tuttavia la maggior parte degli uomini vive in una condizione di incoscienza:
Barra: è gran cosa il mondo: altri sempre fanno errori e mai fanno la penitenza, per quel che si vede; altri la hanno dopo molti errori; altri vi accappano nel primo; altri ancor non han peccato, che ne portano la pena; altri suffriscono senza peccato; altri la portano per gli peccati altrui. In quest’uomo, si ben si considera, tutte queste specie sono congiunte insieme. (Cand.V,23, pag. 393)
Nel Candelaio Bruno affronta un altro argomento “piccante” quale l’onore. Lo stesso Gioan Bernardo aveva sostenuto poco prima una concezione opposta di tale valore da sempre individuato come uno dei fondamenti sociali indispensabili alla convivenza civile. Egli, nel tentativo di sedurre madonna Carabina, afferma:
Onore non è altro che una stima, una riputazione: però sta semper intatto l’onore, quando la stima e riputazione persevera la medesma. Onore è la buona opinione che altri abbiano di noi: mentre persevera questa, persevera l’onore. E non è quel che noi siamo e quel che noi facciamo, che ne rendi onorati o disonorati, ma si ben quel che altri stimano e pensano di noi. (Cand. V,11, pag. 323)
In sostanza, alla fine del nostro discorso, il nesso istituito dal paradosso bruniano si configura quindi come condanna etica non tanto del libero costume, quanto piuttosto dell’ipocrisia che lo maschera e lo asseconda.
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